Uno zombie non fa primavera!

La primavera è (quasi) alle porte ed è finalmente l’ora di ritornare per le rondini, l’ora di rinascere per la natura che ci ha allietato in questi lunghi, duri mesi di pandemia… lo zombie che resuscita però non vale!

L’arrivo dei vaccini anti-Covid ha riportato alla luce timori e richiami alla cultura popolare horror che già l’idea di una malattia sconosciuta su scala globale a suo tempo aveva inevitabilmente portato i meno ansiosi a rifarsi alla sterminata filmografia dedicata al tema.

Abbiamo quindi La notte dei morti viventi e il suo sequel satirico Zombi di George A. Romero, gli zombie corridori di World War Z e il pulp di Grindhouse – Planet Terror di Robert Rodriguez che mette a monte degli zombie addirittura un’arma biologica contro Osama Bin Laden. Per non parlare degli zombie/vampiri creati da Richard Matheson in Io sono leggenda e portati sullo schermo da Francis Lawrence, degli zombie innamorati nella commedia Warm Bodies e nella serie The Walking Dead, dove gli zombie fanno di tutto. Ma soprattutto, quel che è un vero capolavoro di regia e una reale anticipazione di quel che è accaduto nel 2020, un film passato sotto gli sguardi dei critici come un horror ben costruito ma nulla più, di una bellezza struggente e profondamente drammatico, 28 giorni dopo dell’inglese Danny Boyle.

Tuttavia, non tutti sanno che la figura dello zombie, il più inutile fra i mostri canonici eppure forse l’unico indistruttibile, nasce dalla cultura vudù, precisamente ad Haiti, dove venivano portati molti degli schiavi provenienti dal Benin per le piantagioni di canna da zucchero. Lo zombie, tradizionalmente, non è un defunto riportato a una sorta di vita, versione del tutto occidentale nata con ogni probabilità come nemesi del cristiano aldilà, bensì una persona portata a uno stadio molto simile alla morte dagli stregoni (i cosiddetti bokor). Il primo a immaginare una relazione tra vudù e zombie fu Wade Davis con il libro Il serpente e l’arcobaleno, reso famoso in realtà dalla versione cinematografica di Wes Craven.

Zombie ad Haiti in una piantagione

Perché creare uno zombie? Per avere uno schiavo senza volontà, naturalmente, e caso vuole che tale rituale nasca proprio là dove lo schiavismo occidentale ha distrutto intere generazioni di persone. Il cinema ha trasformato un corpo non morto e nemmeno in vita in un mostro affamato di carne umana, rendendolo anche difficile da eliminare, ma forse sarebbe il caso di vedere le cose dalla parte di chi coloro erano davvero considerati non più umani, considerati creature abiette in grado solo di lavorare, eppure che in segreto hanno mantenuto vive tradizioni che oggi andiamo a studiare perché è di moda.

Allora, se ci venisse un dubbio, andiamo a riascoltare una canzone che è proprio dedicata a loro, ai mostri lavoratori senza più umanità che, se proprio dovessero mangiare il nostro cervello, sarebbe solo per farci stare zitti.

Siamo nel 1994, lei è Dolores O’Riordan e questa è Zombie:

Another head hangs lowly

Child is slowly taken

And the violence caused such silence

Who are we mistaken?

But you see, it’s not me, it’s not my family

In your head, in your head they are fighting

With their tanks, and their bombs, and their bombs, and their guns

In your head, in your head they are crying

In your head, in your head

Zombie, zombie, zombie-ie-ie

What’s in your head? In your head?

Zombie, zombie, zombie-ie-ie-ie, oh

Another mother’s breaking

Heart is taking over

When the violence causes silence

We must be mistaken

It’s the same old theme, since nineteen-sixteen

In your head, in your head they’re still fighting

With their tanks, and their bombs, and their bombs, and their guns

In your head, in your head they are dying

In your head, in your head

Zombie, zombie, zombie-ie-ie

What’s in your head? In your head?

Zombie, zombie, zombie-ie-ie-ie, oh

Oh-oh-oh-oh-oh-oh-oh, eh-eh-oh, ra-ra

Laura Pegorini

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